
Prosegue il viaggio della rubrica Let’s Close The Gap tra le neo specialiste in Ortopedia e Traumatologia. Vi proponiamo l’intervista alla D.ssa Zanini
3 febbraio 2023
Dottoressa, ci delinea il suo curriculum professionale?
“Mi sono specializzata in Ortopedia l’11 gennaio scorso con la tesi dal titolo ‘La prevalenza della fibromialgia in pazienti con spalla dolorosa. Studio clinico, prospettico e osservazionale’. Sono stata studentessa a San Donato con il professor Pietro Simone Randelli e per tre anni ho frequentato il suo reparto di Ortopedia, poi sono entrata nella scuola di specializzazione a Novara con il professor Federico Grassi e lì sono rimasta fino a metà del terzo anno, per poi recarmi a Lione per otto mesi. Successivamente sono rientrata a Milano per terminare il percorso di specializzazione con il professor Randelli.
Il periodo a Lione è coinciso con il lock-down per il Covid 19. Da un punto di vista professionale è stato fondamentale ai fini della mia crescita in quanto ho potuto assistere ad interventi di chirurgia della spalla a livelli di eccellenza. Sul piano personale, come tutti, ho incontrato alcune difficoltà perché ci sono state ripercussioni dovute alle restrizioni disposte per limitare la circolazione del virus. Era davvero tutto chiuso, si poteva uscire solo entro un determinato chilometraggio da casa”.
Come è nata la sua passione per la medicina e per l’ortopedia in particolare?
“Ho sempre voluto fare il medico sin da piccola. Pur non avendo esempi diretti in tal senso in famiglia, ogni volta che qualcuno mi chiedeva cosa mi sarebbe piaciuto fare da grande rispondevo ‘il medico’. Per quanto riguarda l’Ortopedia, il mio interesse è nato frequentando il reparto del professor Randelli, quando ancora ero studentessa; lì mi sono sentita subito accolta: il prof e tutti i medici, con i quali tra l’altro lavoro adesso, mi hanno da subito coinvolta in tutte le attività cliniche e chirurgiche del reparto, spiegandomi ogni cosa nel dettaglio. E’ stato questo a fare la differenza, e credo sia un aspetto fondamentale per far nascere una passione autentica in persone chiamate a fare una scelta importante nella vita professionale, come la specializzazione”.
Qual è il bagaglio che le ha lasciato la Scuola di Specializzazione?
“Il mio percorso di specializzazione è stato molto vario e mi ha permesso di conoscere diverse realtà. Il fil rouge è sempre stato la chirurgia della spalla, la mia passione sin da subito che ho potuto approfondire con grandi maestri”
L’Ortopedia è l’unica specialità chirurgica il cui il numero delle donne è ancora molto basso rispetto alle altre specialità. Il numero delle figure apicali oggi in Italia, è ancora più esiguo. Quali sono i motivi di tale disparità oggi, quale impatto negativo pensa possa avere e in quali ambiti?
“Mi rendo conto che in generale la realtà sia questa e che ci sia una certa disparità, ma per quanto riguarda la mia esperienza in reparto il numero delle colleghe non è così limitato, anzi. Un dato secondo me interessante è che lo scorso anno, l’ultimo della mia specializzazione, eravamo più donne che uomini.
In generale penso che la disparità numerica derivi dal fatto che, tradizionalmente, l’ortopedia sia intesa come una professione per la quale viene richiesta una grande forza fisica. In realtà e, questo è uno degli insegnamenti del professor Randelli, è che lì dove non si arriva con la forza, si procede con l’intelligenza. Ancora oggi si pensa che si tratti di un mestiere molto fisico, ma così non è”.
Come definirebbe e descriverebbe oggi l’ortopedico?
“Oggi l’ortopedia è una specializzazione che comprende realtà molto diverse tra di loro: dalla traumatologia alla chirurgia elettiva iperspecialistica. In generale il paziente che si rivolge all’ortopedico è una persona che soffre perché prova dolore, e per questo motivo la prima cosa da fare è riuscire a trovare il modo di rassicurarla per poi risolvere il problema. È una branca chirurgica, ma quello che per me è molto interessante e stimolante è che l’indicazione chirurgica nei diversi casi non è sempre così netta, e anzi dipende da una serie di fattori legati soprattutto al paziente, che l’ortopedico deve conoscere e saper valutare. È inoltre una specializzazione in cui è molto importante seguire il paziente nel corso del tempo”.
Chi sono stati i suoi mentori e crede che abbiano avuto un ruolo nel raggiungimento dei suoi obiettivi?
“Sicuramente il professor Pietro Simone Randelli per tutti gli insegnamenti che mi ha dato. Quello che mi ha colpita subito del prof è l’approccio che ha nei confronti del paziente: è molto empatico e questo ispira molta fiducia, elemento alla base del rapporto medico-paziente.
Ci sono poi le mie attuali colleghe, figure che per me sono state e continuano ad essere molto importanti: le dottoresse Chiara Fossati, Silvia De Martinis, Sara Favilla e Daniela Maglione. Sono veramente fantastiche perché sono ortopediche e madri, e dimostrano come sia possibile conciliare ogni giorno il lavoro e la famiglia, restando eccellenti in entrambi i ruoli e per questo sono fonte di grande ispirazione.
Solitamente, quando si comunica alla propria famiglia e ai propri amici la volontà di diventare medico ortopedico, c’è sempre qualcuno che si raccomanda di pensarci bene, per le difficoltà che si possono incontrare nel conciliare il lavoro con la famiglia. E’ stato detto anche a me. Invece ritengo sia possibile: ci sono ortopediche che sono diventate mamme e che continuano a lavorare ad altissimi livelli”.
La percentuale delle donne nelle società scientifiche in Ortopedia non supera a livello internazionale il 10%. Quanto ritiene importante per la crescita di una professionista la partecipazione alla vita delle società scientifiche?
“La partecipazione alle società scientifiche è fondamentale per la crescita dei professionisti. E questo vale in generale. Permette il confronto con il mondo scientifico e quindi una crescita professionale, a maggior ragione nelle fasi iniziale della carriera. E’ importante che tutti possano accedervi”.
La SIOT, per la prima volta nella sua storia, ha fondato una commissione Pari Opportunità per analizzare questa situazione. L’obiettivo è svincolare la discussione da una lotta di genere verso una alleanza per una finalità comune. Ritiene utile queste iniziative e la nascita di network di professioniste come la WOW (Women in Orthopaedic Worldwide) a livello nazionale e internazionale?
“Non devono esserci differenze a nessun livello, nel senso che il punto di vista maschile è importante per comprendere le ragioni che portano allo sviluppo di alcuni meccanismi. Per questo ritengo sia stata una scelta vincente includere uomini e donne nella Commissione Pari opportunità. La Wow è un mezzo importante per avere un punto di vista qualificato su diverse tematiche che non sono state approfondite sino ad ora. Per quanto mi riguarda è motivo di fiducia per il futuro”.
Diversi articoli hanno dimostrato che la soglia da raggiungere perché si possa valutare l’impatto della diversità in ambito lavorativo è del 30%. Quali pensa possano essere i benefici di questa più equa rappresentanza?
“Un’equa rappresentanza consente di mettere in evidenza e provare ad affrontare insieme le problematiche che si incontrano ogni giorno. E penso sia un beneficio per tutti, a partire dai pazienti: avere diversi punti di vista e competenze differenti è sicuramente un vantaggio perché offre elementi per garantire tempestivamente risposte e cure più appropriate”.
Cosa direbbe ad una giovane professionista che inizia la sua carriera in questo panorama?
“Alle studentesse che scelgono il corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, visto che si tratta di un percorso molto lungo, vorrei dire di essere molto determinate e costanti per raggiungere gli obiettivi. Alle specializzande in ortopedia consiglierei di scegliere con cura i loro maestri perché è importante che conoscano il loro valore e le aiutino a crescere”.
