
Per la rubrica Let’s Close The Gap, proponiamo l’intervista alla Dottoressa Andriolo che si è appena specializzata in Ortopedia e Traumatologia con una tesi sulle Fratture periprotesiche di femore prossimale
Dottoressa Andriolo, ci delinea il suo curriculum professionale?
“Ho frequentato la facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università degli studi di Verona, in seguito ho sostenuto il concorso per entrare in Ortopedia perché volevo diventare medico ortopedico, ma non sono riuscita ad entrare in una delle Università che volevo e quindi, dopo aver trascorso un anno tra studio e lavoro, ho ritentato con successo l’anno seguente e sono entrata a Padova. Per me è stato un sogno che si è realizzato”.
Come è nata la sua passione per la medicina e per l’Ortopedia, in particolare?
“L’interesse per la medicina è nato quando frequentavo le scuole superiori nella mia città in provincia di Vicenza. In quel periodo mio nonno era ricoverato nel reparto di Nefrologia ed io ero solita fargli visita frequentemente. Di conseguenza, giorno dopo giorno, frequentando continuativamente l’ospedale, mi sono resa conto di quello che volevo diventare: volevo diventare medico. Terminate le scuole superiori, mi sono iscritta alla facoltà di Medicina, ma non avevo ancora in mente quale sarebbe stata la mia specializzazione. Ho pensato che così come era arrivata la scelta di fare il medico, in maniera direi quasi naturale, in seguito ci sarebbe stato il colpo di fulmine per la specializzazione. Ero già propensa per un ambiente chirurgico e, in effetti, il colpo di fulmine c’è stato davvero ed è arrivato quando frequentavo il quarto anno di specializzazione e ho iniziato a studiare Ortopedia e a frequentare il reparto. Ho proseguito sino a scegliere la tesi, per poi entrare a Padova”.
Come definirebbe e descriverebbe l’ortopedico?
“L’Ortopedico è un medico che deve sapere occuparsi della parte chirurgica e al tempo stesso non perdere mai di vista il quadro clinico generale del paziente. Allo stesso tempo, è una professione che permette di relazionarsi con tutte le fasce d’età, dalla pediatrica, al paziente grande anziano. Per questo, ci sono sempre stimoli nuovi”.
Qual è il bagaglio che le ha lasciato la Scuola di Specializzazione?
“Gli anni della Scuola di Specializzazione mi hanno permesso di studiare e applicarmi a tutte le branche dell’ortopedia: dalla chirurgia della spalla, a quella del ginocchio e dell’anca e l’oncologia ortopedica”.
L’Ortopedia è l’unica specialità chirurgica il cui il numero delle donne è ancora molto basso rispetto alle altre specialità. Il numero delle figure apicali, oggi in Italia, è ancora più esiguo. Quali sono i motivi di tale disparità oggi, quale impatto negativo pensa possa avere e in quali ambiti?
“Dal punto di vista personale, ho avuto la fortuna di studiare e frequentare il reparto assieme ad altre donne, per cui non ho mai vissuto direttamente questa minoranza. Vero è che nel contesto sociale si avvertiva e si avverte ancora oggi, una certa disparità. Mi riferisco a tutte quelle frasi che noi giovani donne medico ci sentiamo dire da conoscenti: “Ma sei sicura di voler fare l’ortopedico?”; “Come farai a scegliere tra la famiglia e la carriera?”. E dai familiari dei pazienti: “Signorina, posso parlare con Medico?”. Ciò che mi conforta comunque è notare che da quando ho iniziato a studiare Medicina vedo che, con il passare del tempo, ci sono sempre più specializzande in ambito chirurgico”.
Chi sono stati i suoi mentori e crede che abbiano avuto un ruolo nel raggiungimento dei suoi obiettivi?
“Sicuramente il mio primo mentore è il Professor Pietro Ruggieri, ordinario della Clinica Ortopedica presso l’Università di Padova e direttore dell’UOC di Ortopedia e Oncologia Ortopedica. Per me è un esempio, ha permesso una continua formazione grazie a lezioni, corsi e congressi, il tutto in una équipe mista dove donne e uomini lavorano alla pari. Inoltre ha dato la possibilità a me e agli altri specializzandi di frequentare altre strutture ospedaliere. Nel mio caso, ho trascorso il mio ultimo anno di specializzazione a Vicenza con il Prof. Alberto Momoli, che ringrazio di questa opportunità”.
La percentuale delle donne nelle società scientifiche in Ortopedia non supera a livello internazionale il 10%. Quanto ritiene importante per la crescita di una professionista la partecipazione alla vita delle società scientifiche e che benefici può avere questo fattore per il professionista e per la società?
“Credo che la partecipazione alle società scientifiche sia fondamentale sia per la formazione che per il continuo aggiornamento professionale. Per quanto riguarda la SIOT, ho notato con piacere, che da qualche anno esiste un approccio sempre più mirato verso i giovani e gli specializzandi, ciò testimoniato anche dal fatto che sia stata lanciata una campagna di assicurazione dedicata. Questo ha permesso ai giovani medici di conoscere gli aspetti legali e assicurativi della professione medica”.
La SIOT, per la prima volta nella sua storia, ha fondato una commissione Pari Opportunità per analizzare questa situazione. L’obiettivo è svincolare la discussione da una lotta di genere verso un’alleanza per una finalità comune. Ritiene utile queste iniziative e la nascita di network di professioniste?
“Credo che iniziative come quella concepita e sviluppata dalla SIOT siano molto importanti perché permettono di avviare e sostenere il cambiamento e di evitare che ci sia una sorta di discriminazione in senso inverso, per cui la donna faccia di più o di meno rispetto ai colleghi uomini. La donna medico va trattata alla pari dei colleghi uomini, senza privilegi o altro. In questo senso la SIOT è una società all’avanguardia perché oltre a questo aspetto offre varie opportunità di crescita e formazione a noi che entriamo in questo mondo lavorativo”.
Diversi articoli hanno dimostrato che la soglia da raggiungere affinché si possa valutare un impatto della diversità in ambito lavorativo è del 30%. Quali pensa possano essere i benefici di questa più equa rappresentanza?
“Una più equa presenza in ambito medico consente migliori condizioni sia per il paziente che per il lavoro in reparto. Infatti, ciascuno per le proprie competenze ed esperienze può dare il suo contributo nella operatività quotidiana”.
Cosa direbbe a una studentessa che inizia la sua carriera in questo panorama?
“Le direi che i punti fondamentali sono: una grande determinazione ed un grande spirito di sacrificio. Oggi mi fa sorridere pensare a ciò che mi rispose uno specializzando in Medicina, quando gli chiesi consiglio riguardo a questa carriera. Egli, mostrandomi un enorme tomo, mi disse: “ Guarda, questa è solo una piccola parte dell’esame di Medicina interna. Se non ti spaventa lo studio, anzi se ami approfondire, allora questo è il percorso giusto per te”. Quindi, bisogna amare lo studio, avendo continuamente voglia di leggere ed approfondire gli argomenti, spesso di notevole complessità. Sicuramente non mancano i momenti di sconforto, anche profondo, da cui se ne esce solo con tenacia e non perdendo mai di vista l’obiettivo. Ovviamente, avere qualcuno che ti sta accanto e che ti supporta in questo arduo compito, è una delle componenti fondamentali per arrivare al traguardo”.
(intervista a cura di Comunicazione Sanitaria)
