
Il prof. Umberto Tarantino è Ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore e Direttore della Scuola di Specialità in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università degli Studi Tor Vergata di Roma, nonché primario di Ortopedia e Traumatologia presso il Policlinico universitario.
Abbiamo però chiesto questa intervista al professore per un’altra sua grande passione clinica: l’Osteoporosi e fragilità dello scheletro. Così, in occasione della presentazione delle Linee guida sulla fragilità ossea, delle quali la SIOT è capofila, e per la stesura delle quali Linee guida il prof. Tarantino ha lavorato per circa due anni, siamo lieti di pubblicare questo interessante contributo.
18 ottobre 2021
Prof. Tarantino, una delle più note e temute patologie delle ossa è senz’altro l’Osteoporosi e le conseguenti fratture da fragilità. Può inquadrarne sinteticamente la sintomatologia?
Le fratture da fragilità purtroppo non sono un’evenienza così rara se si soffre di osteoporosi. Nelle prime fasi della malattia, tipicamente, il paziente non presenta alcun sintomo perché la riduzione della BMD (la densità minerale ossea) si verifica molto gradualmente, motivo per cui l’osteoporosi si definisce come una malattia silente o subdola. Tuttavia, la progressione della patologia a volte si associa ad insorgenza di dolore persistente che tende a cronicizzare, indipendente dall’evento fratturativo. In aggiunta, la fragilità ossea che caratterizza l’osteoporosi può promuovere eventi fratturativi associati allo sviluppo di un dolore acuto ed intenso.
Quali sono le categorie più colpite e con quale incidenza?
L’osteoporosi rappresenta un problema di salute pubblica enorme ed in crescita, con costi sanitari e sociali elevati. Delle fratture totali registrate annualmente nel mondo, 9 milioni consistono in fratture da fragilità dovute all’osteoporosi ed hanno conseguenze importanti in termini di mortalità e disabilità. Coloro che hanno avuto la loro prima frattura osteoporotica hanno un rischio maggiore di ulteriori fratture. Inoltre, il rischio di frattura aumenta con l’età e, con l’aumento dell’aspettativa di vita media in tutto il mondo, si prevede che più individui subiranno fratture da fragilità.
Si stima che in Italia siano affetti da osteoporosi 1 donna su 3 oltre i 50 anni (circa 5.000.000 di persone) e 1 maschio su 8 oltre i 60 anni (circa 1.000.000 di persone). Inoltre, secondo i dati provenienti dalle Schede di Dimissioni Ospedaliere (SDO), l’incidenza stimata degli eventi fratturativi è di 700/100.000 negli over 50.
Sul fronte diagnostico, oltre alla tradizionale Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC-DEXA), si affacciano sul mercato tecnologie ecografiche e nuovi device. Qual è la Sua opinione sulla migliore tecnica d’indagine?
L’esame di riferimento per la diagnosi di osteoporosi è la MOC-DEXA, che fornisce una valutazione della massa ossea: al diminuire della stessa, infatti, segue un incremento del rischio di frattura. Esistono altre tecniche d’indagine, come la tomografia assiale computerizzata (TAC) che, per esempio, si può utilizzare per misurare con precisione il rapporto tra porzione corticale e porzione trabecolare di un corpo vertebrale. Tuttavia, questa tipologia di esame è da eseguire solo nei casi di necessità, poiché comporta una notevole esposizione a radiazioni ionizzanti potenzialmente nocive per l’organismo. Inoltre, sebbene di recente introduzione e perciò poco utilizzata, ricopre un ruolo rilevante in clinica anche la valutazione della massa ossea mediante apparecchiature ad ultrasuoni, che misurano la velocità di trasmissione dell’onda a livello del calcagno, della patella e delle falangi delle mani.
Nonostante le recenti innovazioni, la MOC rimane indubbiamente la tecnica d’indagine più appropriata, perché è un esame semplice, rapido (non richiede più di 5 minuti) e assolutamente indolore. Inoltre, prevede l’impiego dei raggi X ma in dosi bassissime, per cui si tratta di un esame sicuro, che si può ripetere tranquillamente nel tempo.
Si può considerare l’osteoporosi una malattia ereditaria e cosa consigliamo a chi ha un parente diretto con questo problema ma non ha ancora rilevato i sintomi?
Numerosi sono i fattori di rischio che concorrono all’insorgenza dell’osteoporosi; tra questi un fattore di rischio non emendabile è la familiarità. Solo negli ultimi anni sono stati intrapresi studi volti a identificare e caratterizzare le componenti genetiche di tale malattia. Inoltre, durante la vita si possono accumulare fattori di rischio ambientali che possono esercitare un effetto selettivo sulle caratteristiche genetiche dell’individuo. Tali fattori risultano determinanti per l’insorgere della malattia, e comprendono abitudini alimentari, consumo di alcool, tabacco e caffè, attività fisica e assunzione di farmaci che interferiscono con il metabolismo osseo. I fattori genetici coinvolti nella patogenesi dell’osteoporosi sono rappresentati da un insieme di geni che regolano l’espressione dei caratteri legati alla massa e alla microarchitettura ossea. La caratterizzazione dei marcatori genetici che determinano alterazione del metabolismo osseo, potrebbe quindi permettere di identificare precocemente gli individui suscettibili a sviluppare osteoporosi. Diversi polimorfismi sono stati sino ad ora identificati ed analizzati all’interno di alcuni geni target, che codificano per il recettore della vitamina D, Collagene di tipo I, recettore della calcitonina e recettore degli estrogeni. L’analisi di questi polimorfismi permette di determinare in maniera più certa la predisposizione alla malattia.
Sul fronte clinico, esistono terapie innovative per curare l’osteoporosi e quanto sono efficaci?
Negli ultimi 30 anni, la ricerca farmacologica di nuove terapie per il trattamento dell’osteoporosi ha avuto un notevole sviluppo.
I bifosfonati, potenti inibitori del riassorbimento osseo, rappresentano attualmente il caposaldo della terapia farmacologica dell’osteoporosi. Tutti i bifosfonati approvati hanno dimostrato di ridurre il rischio di fratture vertebrali ed aumentare la BMD, mentre alcuni hanno dimostrato la loro efficacia anche nella riduzione del rischio di fratture non vertebrali e di fratture all’anca.
Il denosumab è un anti-riassorbitivo molto potente che inibisce la differenziazione, l’attivazione e la sopravvivenza degli osteoclasti, responsabili del riassorbimento osseo. Vari studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di questo farmaco nella riduzione del rischio di fratture vertebrali, non vertebrali e di femore, superiore a quella di altri agenti anti-riassorbitivi.
Il teriparatide è attualmente l’unico farmaco anabolico in commercio in Italia per il trattamento dell’osteoporosi: stimola efficacemente la formazione di nuovo osso, ed ha dimostrato di ridurre in modo significativo il rischio di fratture sia vertebrali sia non vertebrali. Infine, tra i farmaci anti-osteoporotici di nuova generazione, non ancora in commercio in Italia, vi è il Romosozumab, un anticorpo monoclonale anti-sclerostina che svolge un duplice effetto: aumenta la formazione ossea e, in misura minore, riduce la perdita di massa ossea, riducendo così il rischio di frattura.
Il soggetto osteoporotico se affetto da malattia cronica è da considerarsi un paziente fragile o non autosufficiente?
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) definisce come malattie croniche quelle patologie che hanno origine in età giovanile, ma che richiedono anche decenni prima di manifestarsi clinicamente e necessitano di un’assistenza a lungo termine. Sebbene l’osteoporosi sia caratterizzata da una lunga durata e da una lenta progressione, il paziente osteoporotico ad oggi non è considerato un paziente cronico. Infatti, la densitometria ossea rientra tra le prestazioni parzialmente escluse dai livelli essenziali di assistenza (LEA), in quanto non è un esame prescrivibile con caratteristiche d’urgenza. Per i criteri di accesso alla densitometria ossea, sono stati indicati fattori di rischio maggiori o minori, quali: precedenti fratture da fragilità, riscontro radiologico di osteoporosi, terapie croniche che possono favorire l’insorgenza di osteoporosi, e presenza di patologie a rischio di osteoporosi.
Può darci qualche consiglio per prevenire l’osteoporosi?
La prevenzione è fondamentale e deve iniziare in gioventù, poiché è proprio in questa fase della vita che si raggiunge un picco di massa ossea adeguato da cui dipende la futura robustezza dello scheletro. Dunque, prevenire l’osteoporosi si può e si deve, anche perché le terapie attualmente disponibili non permettono di guarire dalla malattia, una volta che si è instaurata, ma solo di rallentarne la progressione. La prevenzione dell’osteoporosi e delle conseguenti fratture da fragilità si basa su alcuni punti cardine, che sono tutti legati allo stile di vita: seguire una dieta bilanciata ricca di calcio e vitamina D; praticare regolarmente attività fisica; mantenere un peso forma adeguato; evitare un consumo eccessivo di alcol; non fumare.
Cosa si sente di suggerire ai medici di medicina generale riguardo a questa subdola malattia?
Il Medico di Medicina Generale dovrebbe essere la figura cardine nella prevenzione primaria dell’osteoporosi e delle fratture da fragilità. Tale figura, oltre a promuovere sani stili di vita per i pazienti, è fondamentale per il precoce riconoscimento di persone a rischio. Il Medico di Medicina Generale può valutare il rischio di frattura per il paziente (ad esempio, un primo screening tramite FRAX), far effettuare esami emato-chimici e urinari di screening di primo livello, garantire l’accesso alla determinazione della BMD secondo gli specifici LEA. Il Medico di Medicina Generale deve assistere il paziente nei dubbi che può avere sull’efficacia della terapia, deve spiegarne le complicanze su base scientifica e rafforzare l’aderenza al trattamento. È per questo che il Medico di Medicina Generale deve essere il primo attore nella gestione dell’osteoporosi.
La SIOT ha istituito una specifica “Commissione Osteoporosi” da Lei presieduta. Quali sono le sue finalità?
Lo scopo principale della “Commissione Osteoporosi” istituita dalla SIOT e da me presieduta è quello di fornire indicazioni pratiche per la gestione, la diagnosi, la prevenzione ed il trattamento dell’osteoporosi e delle fratture da fragilità. A tal riguardo, si rende necessaria l’esigenza di sviluppare nuovi modelli integrati e multidisciplinari, basati sulla stretta collaborazione e comunicazione tra i diversi specialisti coinvolti nella gestione dei pazienti fragili. In questo contesto, le Fracture Unit e le Fracture Liaison Service (FLS) rappresentano modelli di avanguardia, che prevedono la collaborazione delle diverse figure professionali coinvolte nell’assistenza del paziente con frattura da fragilità, dal momento del ricovero fin dopo la dimissione, ottimizzando le risorse e riducendo gli sprechi. Importante, all’interno di questi modelli, un ruolo fondamentale è ricoperto, oltre che dall’ortopedico, anche dal medico di medicina generale nel percorso terapeutico e riabilitativo, nonché dagli infermieri con specifica competenza nell’ambito della gestione del paziente fragile (Bone Care Nurse).
Obiettivi, questi, fortemente sostenuti anche nelle recentissime Linee Guida sulla “Diagnosi, stratificazione del rischio e continuità assistenziale delle Fratture da Fragilità” pubblicate il 18 Ottobre 2021. Sviluppate in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e frutto della collaborazione tra le principali Società scientifiche ed Enti clinici, esse sono finalizzate al sostegno dei professionisti sanitari ed all’implementazione di nuovi interventi per la diagnosi e la prevenzione delle fratture da fragilità, da parte delle Regioni e delle Aziende Sanitarie.
ARTICOLO CORRELATO. Sull’argomento Osteoporosi e Fratture da fragilità vi invitiamo a leggere l’intervista alla prof.ssa Maria Luisa Brandi »
(intervista di Mario Maffei – Comunicazione Sanitaria)