
Coniugando la sua passione per l’insegnamento, la ricerca scientifica e la cura delle patologie scheletriche, il Prof. Clemente Romano fu direttore della prima Clinica in Italia dedicata alla disciplina del medico “ortopedista” .
Clemente Romano (1847-1927), direttore a Napoli della prima Clinica ortopedica istituita in Italia, presidente SIOT nel 1908.
30 maggio 2022

Borgo Loreto a Napoli, sede dell’Ospedale Santa Maria di Loreto (in una stampa del ’700).
Il suo primato non è in discussione. Nella storia dell’ortopedia italiana è stato lui, Clemente Romano, a precedere tutti nella direzione di una Clinica ortopedica: Napoli, 1885. Non c’era ancora la Società Ortopedica Italiana, per la cui nascita si dovette attendere altri sei anni, e per la cura delle malattie scheletriche restavano più che altro le scuole per rachitici a concedere locali e mezzi. Tanto per avere un’ulteriore idea di quanto anticipati fossero i tempi, il Rizzoli di Bologna – primo vero, esclusivo, istituto specialistico in Italia – sarebbe stato inaugurato soltanto nel giugno del 1896.
Romano riprendeva e consolidava una buona tradizione. A Napoli, infatti, già nel 1840 – la città era capitale del Regno delle due Sicilie, sul trono c’era Ferdinando II di Borbone – era stata istituita una cattedra di insegnamento di ortopedia, la prima ufficiale sul territorio della Penisola, non ancora politicamente unita. Quell’incarico se l’era guadagnato, con dedizione e intraprendenza, Lorenzo Bruni, uno di quei medici-ortopedisti che nella prima metà dell’800 avevano dato vita ai primi stabilimenti dediti alla correzione delle deformità mediante bendaggi o strumenti meccanici. E lui si era in qualche modo elevato sugli altri, vedendosi affidata la direzione di una “sala ortopedica” all’Ospedale Santa Maria di Loreto, oltre all’incarico didattico.
Non c’era stata continuità tra l’una e l’altra esperienza. La morte di Bruni nel 1848 aveva comportato la chiusura del reparto e la sospensione della cattedra; un vuoto durato più di trent’anni, prima che Romano – vedremo in che modo – potesse ricalcare le orme del suo lontano predecessore. Nel frattempo, era stata fatta l’Italia e Napoli era divenuta una delle più importanti sedi della Regia Università, mentre la disciplina ortopedica era definitivamente passata dalle mani dei mécanicien orthopédist (per dirla alla francese) a quelle dei chirurghi generali, prima che una parte di loro ne rivendicasse un’autonoma gestione.
Clemente Romano, nato a Benevento nel 1847, laureatosi a Napoli nel 1870, era uno di quei chirurghi che volentieri indirizzavano i propri interessi verso le patologie di ossa e articolazioni. Ne era stato attratto, forse, fin da quando aveva deciso di soggiornare per lungo periodo presso rinomati centri universitari europei (tra Vienna, Stoccarda, Parigi e Londra). Fatto è che nel 1876, al concorso per ottenere la libera docenza in Clinica chirurgica – da due anni aveva fatto rientro a Napoli ed era stato nominato assistente nella stessa clinica –, presentò come tesi due monografie che affrontavano temi che con lo scheletro avevano a che fare: coxalgia e pseudoartrosi.
Le sue due passioni, per la materia specialistica e per l’insegnamento, trovarono a quel punto un felice incontro. Il prof. Romano diede subito avvio, presso la stessa Università di Napoli, a un corso libero di Ortopedia e Chirurgia Infantile. Lezioni in cui, da lì a poco, avrebbe riversato tutta la sua competenza pratica di operatore. Venne infatti nominato chirurgo di vari nosocomi della città, tra cui l’Ospedale degli Incurabili e il Santa Maria di Loreto, istituendo in ognuno ambulatori ortopedici, dove praticava atti operatori (correzione incruenta o osteotomie) su varie deformità scheletriche: ginocchio valgo, varo o recurvato, piede torto, scoliosi.
Alla fine riuscì a raggiungere, nel 1882, il traguardo che sicuramente aveva da tempo prefissato: riaprire la “sala ortopedica” dell’Ospedale Santa Maria di Loreto, per rinverdirne l’antico prestigio e farne un centro universitario della specialità. Per qualche anno ancora proseguì il corso libero, poi, nell’anno accademico 1885-’86, il Ministero della Pubblica Istruzione istituì legalmente la cattedra di Ortopedia. Era la prima in Italia, e Romano si prese l’onore di esserne il primo direttore. I toni esaltanti con cui la notizia venne diffusa sulla rivista “Archivio di Ortopedia” dal milanese Pietro Panzeri, dimostra come l’evento rappresentasse una conquista importante per l’intera ortopedia italiana, non soltanto per la città di Napoli.
Il ruolo di Romano doveva essere insostituibile, se è vero che nel 1892, costretto lui ad abbandonare l’attività a causa di una grave malattia, il reparto del Santa Maria di Loreto venne praticamente soppresso. Non si interruppe invece l’insegnamento, per il quale venne incaricato Aniello D’Ambrosio, direttore dello stesso ospedale; e quando alla morte di questi sembrava che anche la cattedra dovesse essere abolita, ecco tornare in forze lo stesso Romano, in grado di ristabilire la situazione che aveva lasciato. Anzi di rafforzarla, perché dal 1898 la cattedra di ortopedia divenne “di ruolo”, come materia d’insegnamento complementare della Facoltà medica. Era ancora la prima e unica in Italia; le successive sarebbero state: a Bologna nel 1900, direttore Alessandro Codivilla, a Milano nel 1906, con Riccardo Galeazzi, a Roma nel 1912, con Riccardo Dalla Vedova.
Quando Pietro Panzeri, direttore del Pio Istituto dei Rachitici di Milano (oltre che della rivista a cui abbiamo fatto cenno), decise di arruolare chirurghi che si occupavano di problemi dell’apparato muscolo-scheletrico, per riunirli in una associazione nazionale, Clemente Romano non poteva non rispondere presente. Il 20 dicembre del 1891, infatti, il suo nome risultava tra i 55 fondatori della Società Ortopedica Italiana; la sua adesione per corrispondenza, rimettendosi interamente alle decisioni della maggioranza, risultò consapevole e decisa al pari di quella espressa dai 22 presenti quel giorno nel capoluogo lombardo.
Sarebbe stata la stessa Società a riservare al prof. Romano il momento di maggiore notorietà. Nel 1908 venne investito dell’incarico di presiedere il congresso nazionale, giunto alla sua quinta edizione, che per la prima volta si svolgeva a Roma (e il fatto che non fosse un esponente della stessa città conferma la stima che gli veniva riconosciuta). Peraltro, si presentava anche nelle vesti di presidente della società, entrando così in una galleria nella quale fino ad allora si erano avvicendati solo il torinese Alberto Gamba, il milanese Pietro Panzeri e il bolognese Alessandro Codivilla. Il tema di relazione di quel congresso, tenutosi il 26 ottobre nell’aula dell’Istituto Chirurgico del Policlinico Umberto I, era “Il trattamento delle deformità articolari”; un argomento che offrì al presidente Romano l’opportunità di entrare, con piena cognizione, nel vivo della discussione.
L’incarico accademico di Romano comportò per lui ben due trasferimenti (dapprima all’Ospedale degli Incurabili, poi presso il Collegio Medico di Sant’Aniello a Caponapoli) e si prolungò fino al 1922, quando si ritirò in pensione, a 75 anni, cinque prima della sua scomparsa. Al suo posto venne chiamato Luigi De Gaetano.
(a cura di Nunzio Spina – Archivio Storico SIOT)