
Uomo di grande personalità e generosità, il prof. Della Vedova fu il principale artefice dell’istituzione della Clinica ortopedica di Roma.
14 dicembre 2021

Riccardo Dalla Vedova (1871-1942), fondatore della Clinica ortopedica di Roma, presidente SIOT per due mandati.
All’ortopedia romana mancava ancora un profeta, qualcuno che la facesse uscire definitivamente dall’anonimato. La Società Ortopedica Italiana era stata fondata da un ventennio circa (nel 1891), mentre in qualche centro della Penisola l’università aveva già aperto le porte all’insegnamento della Clinica ortopedica, prima a Napoli, poi a Bologna e a Milano. Roma capitale del regno aveva lasciato che il campo delle malattie e delle lesioni dell’apparato scheletrico restasse nel dominio della chirurgia generale, e da questa sorta di sottomissione aveva stentato a liberarsi. Fino a quando, nel 1912, entrò in scena Riccardo Dalla Vedova: si rivelò l’uomo giusto per recuperare e rilanciare!
Era un allievo della prestigiosa scuola chirurgica di Francesco Durante. Il quale, nella sua poliedrica vocazione operatoria (fu tra l’altro il primo al mondo ad asportare un tumore del cervello), teneva molto in considerazione le patologie di ossa e articolazioni. Un settore, questo, in cui Riccardo Dalla Vedova ebbe fin dall’inizio del suo assistentato l’opportunità di indirizzare studi e aspirazioni. Quando anche a Roma si pensò che fossero ormai maturi i tempi per l’istituzione di una cattedra autonoma, il suo nome riscosse i maggiori consensi.
Nativo di Padova (1871), il giovane Riccardo si era trasferito a Roma già per il corso di laurea in Medicina, concluso brillantemente a 25 anni con una tesi sui trapianti tendinei (e già questo tradiva certe sue simpatie). Il percorso chirurgico lo intraprese subito: prima negli Ospedali di Roma, dove scalò i gradini fino al ruolo di primario, poi nell’istituto di Clinica chirurgica, dove il maestro Durante gli preparò il terreno per la sua definitiva affermazione in campo specialistico.
La cattedra che gli era stata assegnata era la prima in Italia a riunire gli insegnamenti delle due specialità, ortopedia e traumatologia; il che lo poneva addirittura in una posizione avanzata rispetto ai colleghi già insediatesi nelle altre sedi universitarie. Sul piano assistenziale, tuttavia, i primi tempi furono alquanto difficili; se il profeta era arrivato, il tempio non c’era ancora. Non esisteva, infatti, una sede autonoma per la Clinica ortopedica, e Dalla Vedova fu costretto a prendersi quel poco (letti in corsia, ore in aula di lezioni, spazi in sala operatoria) che l’istituto di Clinica chirurgica era disposto a concedergli.
Non si perse d’animo, e a poco a poco riuscì a portare avanti i suoi progetti, grazie soprattutto al proprio impegno in campo sociale. La Prima guerra mondiale, da questo punto di vista, si presentò come una opportunità unica; col grado di maggiore e poi di colonnello della Croce Rossa Italiana seppe dare lustro all’Ospedale territoriale n° 1, allestito in un’ala del Palazzo del Quirinale (allora Palazzo Reale), riservato ai soldati storpi e mutilati reduci dal fronte. La regina Elena, promotrice di quest’iniziativa, apprezzò molto l’opera di Dalla Vedova, tanto da fargli dono, all’indomani del conflitto, di un gran numero di macchinari e apparecchi per la fisioterapia, che in parte però restarono a lungo inutilizzati, proprio per quella mancanza di spazi a cui si accennava.
La realizzazione della Città Universitaria della Sapienza, a Roma, in pieno ventennio fascista, fu l’occasione per dare all’istituto di Clinica ortopedica quella degna sede che meritava. Lo stesso prof. Dalla Vedova partecipò al progetto dell’edificio, per renderlo quanto più funzionale rispetto alle necessità che la nuova disciplina chirurgica richiedeva. Corsie ampie per ospitare oltre 120 posti letto, sale per radiografie e fotografie, officina ortopedica, palestra e locali per la fisioterapia, dove potevano finalmente trovare spazio le macchine e gli istrumenti donati da S.M. la Regina Elena di Savoia, come ancora si può leggere in una epigrafe nell’atrio dell’istituto. Fiori all’occhiello erano l’ampia aula ad anfiteatro per lezioni ed esercitazioni pratiche e la sala operatoria principale, con avveniristiche illuminazione e cupola vetrata.
L’inaugurazione ufficiale avvenne il 30 ottobre del 1935. Riccardo Dalla Vedova aveva già assunto un ruolo di primo piano nell’ambito della Società Italiana di Ortopedia, eletto presidente per due mandati (nel ’20 e dal ’28 al ’30) e organizzatore di tre congressi nazionali (ne avrebbe diretto ancora due). L’apice della celebrità arrivò proprio col nuovo istituto, che fu messo in bella mostra agli occhi degli specialisti di tutto il mondo, convenuti in occasione del congresso della SICOT (Società Internazionale di Chirurgia Ortopedica e Traumatologica), nel settembre del 1936. Lo aveva organizzato Vittorio Putti, scegliendo la sua Bologna come sede principale, ma una tappa nella capitale era praticamente obbligatoria.
Professionista di spiccata personalità, ma anche di esemplare modestia, Dalla Vedova preferiva mettersi a capo di progetti che potessero migliorare le condizioni di vita dei minorati, piuttosto che inseguire mire personali. Per questo si batté, ad esempio, per la protezione assicurativa a favore degli infortunati sul lavoro, per la gratuità di protesi e ortesi, per la denuncia obbligatoria delle deformità congenite e infantili. In campo strettamente clinico, portò contributi notevoli nel campo della tubercolosi osteo-articolare, dei tumori, della poliomielite, della protesizzazione per gli arti mutilati. L’amputazione femorale sopracondiloidea e l’osteosintesi interspino-vertebrale con innesto autoplastico, nel trattamento della spondilite tubercolare, furono gli atti operatori in cui la sua tecnica personale ottenne maggiore notorietà.
Dalla Vedova fu praticamente il creatore della prima scuola romana di ortopedia, con un nutrito stuolo di allievi, destinati a cattedre universitarie e primariati. Tra i tanti, ricordiamo Carlo Marino Zuco, che nel 1940 gli successe alla direzione della Clinica ortopedica, dopo che il suo maestro aveva deciso di abbandonare un anno prima della scadenza naturale, proprio per favorirlo. Un triste presagio, perché appena due anni dopo morì (71 anni non ancora compiuti), mentre si svolgeva un congresso di chirurgia di guerra – era il turno della Seconda guerra mondiale – nell’istituto da lui fondato.
Alla SIOT – di cui era stato appena eletto presidente per la terza volta – aveva deciso di donare una somma di 100.000 lire per un premio quinquennale intitolato al suo nome; mentre alla biblioteca dell’istituto aveva elargito interamente la sua ricca raccolta di libri e riviste. Abbandonava la vita terrena e il mondo dell’ortopedia con l’animo sereno di avere lasciato in eredità qualcosa che sarebbe durato negli anni.
(a cura di Nunzio Spina – Archivio Storico SIOT)
CREDITS IMMAGINI
Per il quadro “Riccardo Dalla Vedova e i suoi discepoli” (1938) di Roberto Fantuzzi, la foto è di Luca Borghi (2012) su gentile concessione dell’ufficio stampa del Policlinico Umberto I
La foto del busto del prof Della Vedova è a cura del’Archivio Storico SIOT